Terra di sogno e di luce Stampa
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Ricerche Storiche D'Ambra - Ricerche Storiche
Scritto da Massimo Colella   
Giovedì 27 Agosto 2009 16:41

Terra di sogno e di luce

Forma e materia per un mondo primigenio. «L’isola di Wight»: la più recente opera pittorica di John Sutherland. È l’opera più recente di John Sutherland ed è un capolavoro. Un capolavoro di enormi dimensioni che trasuda vitalità esplosiva ed energia assoluta. È “L’isola di Wight”, un’isola che vive nelle risonanze interiori dell’artista come lontana e fantasticata terra dei sogni.

Di recentissima produzione (luglio 2009), la tela trascina di getto l’osservatore-fruitore – anche con la forza del suo notevole formato (cm. 220x175) – in un mondo primitivo, profondamente arcaico e libero. L’omaggio è evidentemente alla deriva pacifista e non violenta del movimento giovanile del Sessantotto e alla prorompente carica di quei convulsi anni che ebbero nell’incontro sull’isola di Wight come il vessillo e la bandiera identificativa; ma tuttavia ciò che più interessa all’autore è la luce: la luce che emana visibile dall’isola stessa, quel sogno di luce e armonia che con tratti intensi e vitali, impulsivi e arcaico-magici emerge dalle lande primigenie della Memoria. Le squillanti ed aggressive cromie ci riportano allora ad un orizzonte molto concreto e materico, ad una terra che è sì del Sogno e della Memoria, ma è soprattutto, essa stessa, visibile ed immanente manifestazione empirica di sostrato e forma, isola reale e non solo isola immaginata. Soprattutto la sezione sinistra della tela emana accecante vivida luce, raccolta com’è in macchie gialle d’assoluta libertà espressiva contornate spesso con maestria cromatica da archi ed aloni verde-intenso; ma è evidente che la luce pervade l’intera tela, nei reticolati e nelle linee, nelle macchie e nelle forme. Ed è in virtù di questa luce, e del buio che – nel gioco (pittorico ed extra-pittorico, dunque esistenziale) dei contrasti – necessariamente è presente sullo sfondo e nei bordi estremi perché essa possa brillare maggiormente, che emerge il contorno geografico ed anti-geografico, i confini reali e non, dell’isola, un’isola che, come al solito nell’arte di Sutherland, non è descritta, ma evocata, è analiticamente abbozzata, ma non figurativamente resa, un’isola che ha il sapore ruvido di una terra tanto primitiva da essere assoluta e non sfumata, tanto arcaica da far sì che anche l’Arte le si adegui nel ritornare ad essere arte preistorica, pittura rupestre, “graffito” sui generis e canto nuovamente arcaico della post-modernità.
L’arte sutherlandiana attua così un percorso, un itinerario a ritroso verso le lande del Passato mitico e brumoso di una terra selvaggia, scava oceani nell’interiorità e nell’esteriorità, ossia nei poli opposti e infine riuniti del cosmo, e riporta il segno e il gesto alla loro originale purezza. Gli arabeschi delineano pertanto più che un paesaggio reale – ed oltre che un paesaggio reale – un luogo dell’anima profondamente rivissuto ed anzi una silloge o un diorama sintetico di uno spazio che si fa atmosfera. E in tale direzione incide anche la scelta materica perché, oltre all’acrilico, l’artista ha scelto di utilizzare un materiale inusitato e originale, suggestivo e di per sé evocatore, come la corteccia di palma che già da sola ben rende l’autenticità e l’armonia di un mondo antico e naturale, primitivo nella sua irrequieta esistenza. Irrequieta tanto da manifestarsi mossa e mobile, liquida e ancora non fissata sulla tela che vorrebbe, ma non può trattenerla.
La scelta del materiale – assieme alla gestuale policromia danzante (e se di danza si tratta, è di certo tribale e misterica) – restituisce così all’osservatore-fruitore un’immagine di assoluta originalità che nel segno di ritmi ancestrali esplora cavità nascoste ed archetipiche dell’umana esistenza.
L’isola di Wight nella sua concretezza geografica e nella sua dimensione di potente e simbolico idolo diviene pertanto solo lo “starting point”, il punto di partenza per un’indagine sottile che costituendosi sulla base di materia (corteccia di palma quale referente emblematico di una dimensione e di un’atmosfera), forma (forme dell’inconscio lette alla luce di uno spazio dell’anima) e colore (tra le varianti cromatiche, oltre alla vitalità del giallo e dell’arancio, si nota – fra le altre tonalità – il rosso, con cui quasi si vuole, credo, inconsciamente simboleggiare il sangue e la ferocia primitiva dei sacrifici tribali o semplicemente l’energia esplosiva di un’accesa gioia) analizza un universo sciamanico e mandalico, tanto oscuro e complesso da decifrare e decodificare quanto chiaro e palpitante nella fruizione di una vibrazione che emana incoercibile dall’opera per raggiungere l’occhio e la mente dell’osservatore. Per raggiungere le corde sottili dell’animo umano. Per raggiungere il centro pulsante dell’isola archetipica che ognuno nel fondo porta. Dentro di sé. 
(Massimo Colella, quotidiano “Il Golfo” del 27 agosto 2009,pag.28)

Ultimo aggiornamento Martedì 15 Settembre 2009 21:07